La Roma campy
La rappresentazione della città eterna ne la grande bellezza di Paolo Sorrentino
Stefanie Öller
Una nuova visione della città di Roma viene proposta dall’opera filmica la grande bellezza (2013) di Paolo Sorrentino attraverso la vista soggettiva di Roma dello scrittore e protagonista Jep Gambardella. Ma quale immagine, ovvero quale visione fornisce la pellicola di Sorrentino? Come viene rappresentata la città eterna al giorno d’oggi dopo l’ultima significativa opera filmica roma (1972) di Fellini?
Per il fatto che tutta la vicenda filmica presentata è quella del romanzo del protagonista, Jep, essa è dunque frutto della sua immaginazione, come poi rivelato nella sequenza finale. L’immagine della città data in complesso è sofisticata dall’invenzione del romanziere, il che si esprime sia nella messa in scena dell’ambiente che nelle ostentazioni del protagonista, o più concretamente la rappresentazione della città e dell’uomo si fondano nella vicenda. L’elemento unificatore, oltre il protagonista, rappresenta lo spettacolo che si esterna nei vari aspetti filmici, i quali vengono presi in analisi.
Tutto il film si basa su tecniche, per meglio dire strategie narrative a livello audiovisivo, che indicano che dalla finzione filmica viene suggerita la percezione soggettiva della vicenda. In realtà, già il paratesto, un passaggio tradotto in italiano, di Voyage au bout de la nuit (1932) di Louis-Ferdinand Céline (1894–1961), accenna al viaggio immaginario, di cui consiste il film, che rappresenta perfino un romanzo, ma questo si rende ancora impensabile all’inizio della pellicola.
Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione.
Tutto il resto è delusione e fatica.
Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario.
Ecco la sua forza.Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato.
È un romanzo, nient’altro che una storia fittizia.
Lo dice Littrè, lui non si sbaglia mai.E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto.
Basta chiudere gli occhi.È dall’altra parte della vita.1
La sequenza iniziale si distingue dal resto della vicenda filmica e sembra non appartenere alla storia di Jep, ma accenna ai temi affrontati nella trama e introduce la città di Roma. Per quanto riguarda la sua funzione narrativa, questa prima sequenza può essere considerata, dunque, un prologo.2 All’inizio dei piani introduttivi, filmati con movimenti complessi da una gru, presentano l’area del Gianicolo da vari punti di vista, offrendo una percezione più verosimile dello spazio. Successivamente un montaggio alternato mostra sia turisti giapponesi che un coro, il quale canta “I lie” di David Lang. Uno dei temi affrontati in questa sequenza iniziale, il quale diventa poi importante per la vicenda seguente, è la morte, illustrata per un turista giapponese che cade morto per terra, mentre scatta delle fotografie. Questa vicissitudine dà adito a varie interpretazioni, fra cui un’allusione al famoso proverbio di Napoli, adottato per Roma: “Vedi Roma e poi muori”.3 Ma il fatto che il turista muoia colpito dalla bellezza della città eterna, a cui ci potrebbe far pensare altrettanto il titolo del film, non è l’unico motivo. Tenendo conto di quello che Jep (Toni Servillo) dice in una sequenza successiva, vale a dire: “Sta morendo tutto quello che mi sta intorno. Persone più giovani di me, cose. Mi muoiono davanti e io …”, sembra più ovvio che si tratta di uno dei primi incidenti, che accennano a questa dichiarazione.4 La scritta “Roma o morte” sul monumento equestre a Garibaldi, presentata in precedenza tra i vari pani introduttivi, s’inserisce in questa serie di avvisi. La prima sequenza finisce con il panorama sulla città dalla balaustra, davanti alla Fontana d’Acqua Paola, ossia con quello che il turista, prima di morire, ha visto per ultimo. Questa sequenza iniziale è di conseguenza dedicata a Roma, vale a dire alla bellezza della città, la quale il coro sembra quasi decantare (fig. 1).
1. La Fontana dell’Acqua Paola e il coro alle spalle del panorama su Roma (00:03:40; 00:03:26). Tutti i fotogrammi sono, ugualmente alle citazioni, tratti dal DVD: Sorrentino, la grande bellezza.
Lo spettacolo dell’uomo: l’esteta e conoscitore del camp Jep Gambardella
2. Jep Gambardella (Toni Servillo) in scena (01:20:55)
Il napoletano Jep Gambardella si è trasferito a Roma a 26 anni, è un personaggio contraddittorio, sensibile, un esteta, un intellettuale, un giornalista e uno scrittore. Il romanziere si presenta sempre sotto la giusta ottica, esibendo le sue qualità retoriche. Quando esce si veste elegantemente e in modo vistoso, indossando un abito, spesso un Borsalino e di solito tiene una sigaretta in mano. Tipici per l’esteta sono le pose e i gesti ponderati, esagerati, e la mimica a volte innaturale e affettata (fig. 2). Per via di questo atteggiamento il personaggio di Jep sembra proprio dotato della sensibilità camp, di un gusto di stilizzazione, d’artificio.5 Si tratta di un estetismo che privilegia sia un atteggiamento che un modo di guardare il mondo, che si esprime nell’ammirazione dell’innaturale, nel badare alle apparenze, trasformando la vita in una messa in scena, in una recita, in cui la parodia e l’autoparodia si avvicinano. Nel mondo prevale l’estetica, la forma, sul contenuto, l’ironia sulla serietà. Jep incarna un tale personaggio camp, in quanto rivolge costantemente l’attenzione sullo stile, il che implica di divertirsi della volgarità degli altri e incantare il suo ‘pubblico’ attraverso il proprio atteggiamento da divo. Caratteristica per la sensibilità camp è l’élite, l’abbondanza, solo in un tale ambiente può esprimersi un tale gusto, in circostanze di noia, che permettono di dedicarsi all’estetica artificiale del camp.6
La sequenza per eccellenza per cui si palesa la sensibilità camp, ambientata in un negozio d’alta moda, è quella in cui Jep descrive come comportarsi ad un funerale, “l’evento mondano par excellence”.7 Egli espone le regole da seguire, dove collocarsi, i gesti da compiere, le parole da dire ai parenti e ciò che non si deve fare, vale a dire piangere, perché per lui sarebbe immorale “rubare la scena al dolore dei parenti”.8 Alla messa funebre Jep si ferma intenzionalmente in un posto della chiesa dove entra la luce da una finestra; ciò ricorda una scena teatrale, anche per via del fatto che Jep stia per piangere. Il comportamento ironico di Jep si manifesta inoltre, quando risponde “in maniera verticale” a Stefano, il custode delle chiavi dei più palazzi di Roma, che aveva appena detto che Roma era molto peggiorata.9 Un esempio dell’estetica di camp dal punto di vista ottico fornisce, invece, la sequenza con i fenicotteri nella quale il tono di rosa del cielo è in armonia con il piumaggio rosa pallido dei fenicotteri, avvolgendo l’ambiente in un’atmosfera soave (fig. 3). Un’immagine affine rappresenta, per di più, quella con S. Pietro circondato da siepi, visto da lontano, di notte.
3. Estetica camp: Suor Maria e i fenicotteri (02:00:36)
Nonostante la sensibilità camp sia legata alle circostanze di noia, Jep si rende conto dopo il suo sessantacinquesimo compleanno, della celerità con cui il tempo scorre. Per questo annuncia: “non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare”.10 Egli giunge a questa constatazione dopo che Orietta (Isabella Ferrari), una sua amante, gli voleva mostrare degli autoscatti che fa circolare su “Facebook”. Jep considera le ostentazioni volgari di Orietta come tempo perduto, ma tuttavia egli dedica gran parte del suo tempo alle feste e alle apparenze. Parlando con il conoscente Alfredo, Jep sottolinea addirittura che esce la sera, anziché restare a casa, come fanno le “belle persone”, come Jep le definisce, poi, con ironia, sorridendo.11 Benché il suo comportamento nei confronti della società mondana sia ambiguo, egli ha scelto essa e preferisce restarci.
La Roma mondana: la società dello spettacolo
Esemplare per la società mondana di Roma sono gli amici di Jep, tra cui il suo migliore amico, Romano.12 Egli ammira Jep, essendo un modello per lui, anche per via del suo unico romanzo, che Romano definisce un “capolavoro”.13 L’amico a differenza di Jep scrive opere di teatro, ma pare che non abbia molto talento dato che non può permettersi altro che una stanza in un appartamento per studenti e Jep lo aiuta a trovare un teatro, oltre che dei finanziamenti. Infine, Romano segue il consiglio di Jep di scrivere qualcosa di suo, e recita al teatro, parlando dei progetti che non ha realizzato, delle sue delusioni. La più grande delusione pare, difatti, la città di Roma, come spiega Romano all’amico che gli chiede il perché del suo ritorno al paese natale, dopo quarant’anni in città. Apprendiamo dunque che Romano non è romano, è venuto a Roma quando era giovane, ma non ha avuto tanto successo, come Jep o come ci si aspettava. Si è cullato in vane speranze d’amore, lasciandosi sfruttare da una giovane donna, ma tranne il caro amico, nessuno merita d’essere salutato. Pare proprio che questa serie di feste, di conversazioni, di “acrobazie intellettualistiche”, di persone egoiste, questa società dello spettacolo, l’abbia altrettanto deluso.14 Molto significativa per gli amici di Jep è inoltre l’amica Stefania (Galatea Ranzi), che si crede superiore agli altri, essendo madre e avendo una famiglia. Ma Jep le svela che questa è una menzogna. Ella è una femminista di 53 anni, vicina al Partito Comunista, come lasciano supporre le sue divagazioni sul marxismo e sul collettivismo, compiuto pienamente solo a Roma. Avendo scritto dei romanzi, si vanta di essere scrittrice di “impegno civile”, che però ormai collabora con la televisione per progetti, come la reality show “La fattoria delle ragazze”, provando ad “essere moderna”.15
Gli altri amici di Jep presentati sono: la cara Dadina (Giovanna Vignola), Viola (Pamela Villoresi), Lello (Carlo Buccirosso), un uomo d’affari, sua moglie Trumeau (Iaia Forte), il poeta e amante di Dadina, Sebastiano Paf (Severino Cesari), e delle ospite meno significative, vale a dire l’attrice (Anna Della Rosa) che ammira Romano e Lorena (Serena Grandi), un’ex soubrette televisiva. Le feste in forma di serate di danza in discoteca oppure in ambito privato con eventi artistici, servendosi dell’inganno dello spettacolo, li uniscono tutti. In occasione di questi eventi si manifesta la particolarità di camp, ossia il fatto che il contenuto passi in secondo piano a favore della forma, dell’apparenza. Questa vale ancora di più per gli spettacoli, in cui la forma è identica al contenuto. Lo spettacolo, secondo il concetto della società dello spettacolo di Debord, è una visione dominante della società e costituisce perciò una forma sociale che si esprime nella sua attrazione.16 A tal proposito Jep descrive il suo arrivo a Roma a 26 anni:
Sono precipitato abbastanza presto, quasi senza rendermene conto, in quello che si potrebbe definire vortice della mondanità. Ma io non volevo essere, semplicemente, un mondano. Volevo diventare il re dei mondani. E ci sono riuscito. Io non volevo solo partecipare alle feste. Volevo avere il potere di farle fallire.17
Le parole di Jep illustrano come lo spettacolo, che “non ha altro scopo che affermare sé stesso”, e riprendendo “l’ordine spettacolare”, impregni la realtà.18 Le relazioni sociali umane sono mediate da immagini, da rappresentazioni, in cui prevale l’aspetto visivo: una festa segue un’altra e una messa in scena un’altra ancora. In modo esemplare si palesa questo rapporto sociale tra gli uomini e le immagini nella sequenza in cui Orietta racconta a Jep che scatta tante fotografie di sé stessa, per conoscersi meglio e per condividerle con i suoi amici su “Facebook”. Invece di appartenere a sé stesse, le persone si rappresentano in quanto contemplano lo spettacolo, ovvero l’apparenza, alienandosi e dimenticandosi per un certo tempo della loro “vita devastata”.19 Jep afferma appunto che vivono nelle loro menzogne e per cui parlano solo di “sciocchezze”. Per questo Jep conclude: “siamo tutti sull’orlo della disperazione e non abbiamo altri rimedi che guardarci in faccia, farci compagnia e prenderci un po’ in giro.”20
La contemplazione dello spettacolo da parte dei personaggi viene resa visibile allo spettatore tramite scene che consistono maggiormente di primi piani di persone che ballano, inseriti in una serie di tanti piani dell’evento. Un tale uso di piani si mostra nella seconda sequenza attraverso un montaggio veloce in accordo con la musica e la lunghezza della sequenza, composta da scene ottiche, che contribuiscono all’effetto contemplativo.21 Ancora più fenomenale per la sua natura di un evento privato, esclusivo, per pochi eletti con una band, con un lanciatore di coltelli e un’esibizione artistica, è la festa del collezionista d’arte contemporanea Lillo De Gregorio (Pasquale Petrolo). Gli invitati danzano al ritmo della musica lenta e saltano agli occhi i vestiti ricercati, adeguati all’ambiente quasi fantastico del giardino, illuminato di notte. Prevalgono primi piani o figure intere, spesso di dietro o lateralmente, mettendo in risalto i movimenti esagerati, e come si perdono nella contemplazione dell’evento artificiale. Una terza festa si svolge nella terrazza di Jep, dove viene consumata cocaina, il che allude al fatto che queste feste mirino ad evadere dalla realtà. Jep, un po’ in disparte, dice alla sua collaboratrice domestica Ahè: “Ma guarda questa gente, questa fauna. Questa è la mia vita, non è niente.”22 Il commento di Jep rinvia all’osservazione di Debord che il tempo dedicato allo spettacolo è dedicato all’illusione, essendo lo spettacolo nient’altro che la manifestazione dell’illusione, in cui la rappresentazione prende il posto della realtà e l’apparenza il posto dell’essere.23 Lo spettacolo va “da nessuna parte” come afferma Jep per i più bei trenini (persone che danzano in fila) di Roma (fig. 4).24
4. I trenini di Roma sulla terrazza che dà sul Colosseo (1:37:33)
L’idea negativa data della società romana ed italiana si manifesta varie volte, e viene comunicata anche da altri personaggi, a prescindere da Jep. Secondo Stefano (Giorgio Pasotti), “Roma è molto peggiorata.”25 Orietta, di Milano, ammette che trova “i romani davvero insopportabili”. Al suo commento Jep aggiunge che “i migliori abitanti di Roma sono i turisti”, riferendosi probabilmente, tra l’altro, al fatto che loro godano della bellezza della città.26 Successivamente Jep rimanda in modo negativo al divismo collettivo, celebrato con le feste, chiamando l’Italia il “paese dei debosciati”.27 Il protagonista e i suoi amici si lamentano della città e del paese ma non hanno nessuna intenzione di cambiare nulla che riguarda allo stesso modo la loro vita. Sono immobili, impietriti, continuando a fare lo spettacolo dell’inganno. Perciò il Colosseo appare più volte nel film: è la metafora per quell’immobilità, per quella ‘terra ferma’ trasformata in spettacolo (turistico), sfruttando il simbolo della città romana come merce in varie forme (Fig. 5).28
Roma ecclesiastica
In questa visione spettacolare della città rientra anche l’evento dell’udienza della “Santa”, una missionaria africana, chiamata Suor Maria (Giusi Merli), la quale è venuta a Roma in occasione del conferimento di quest’onorificenza. La sala dell’udienza, in stile austero, ha l’aspetto di un’aula di tribunale, in conformità alla vita modesta della Santa, già molto anziana, dalla carnagione brunastra e con il viso segnato da rughe, dando piuttosto l’impressione di una moribonda. Chierici di vari paesi, di vari ordini e di varie comunità assistono a questo evento, e grazie a una sessione fotografica, svoltasi dopo l’udienza, viene consentito di conservare una memoria fotografica della Santa e dell’evento. I chierici scattano fotografie insieme a lei: dei primi piani mostrano in alternanza i fotografi lateralmente e i gruppi in campi medi, rivelando così l’effetto spettacolare e turistico. Sia l’udienza, trasformata in una specie di evento turistico, sia l’altra figura clericale importante del Cardinale Bellucci, che pare più un cuoco che un prete, perdono le loro funzioni, sottolineando come l’istituzione della Chiesa cattolica e i valori cristiani siano stati sorpassati. Soltanto Suor Maria sembra vivere e praticare la carità cristiana, come missionaria. E nonostante la sua età avanzata, la Santa, animata dalla fede, trova la forza di percorrere in ginocchio la scala Santa di S. Giovanni, per ottenere l’indulgenza parziale. La vita ascetica e l’impegno incessante per i simili sembrano averla consumata quasi completamente e conferiscono un carattere surreale alla figura, che nonostante manchi di realismo non entra nella prospettiva ironizzante da cui viene guardato il Cardinale Bellucci. Mediante un montaggio alternato la salita della Scala Santa di Suor Maria viene intrecciata al discorso finale di Jep sulla vita, descrivendola in un certo senso un aspro cammino che tuttavia promette una ricompensa (gli “sparuti, incostanti sprazzi di bellezza”).29
L’obsolescenza della morale cattolica s’intravede ulteriormente in una breve sequenza in cui S. Pietro, sullo sfondo, forma un contrasto visivo con un gruppo di prostitute per strada, lungo un parapetto, di modo che circondino la sede cattolica. Questo contrasto a livello visivo si rispecchia a livello narrativo giacché una delle prostitute chiede a Lello, di passaggio in macchina con sua moglie Trumeau, perché non s’intrattenga quella sera, sottolineando il fatto che tradisca sua moglie. A questa serie di scene che giocano sui luoghi comuni si aggiunge quella del boss mafioso, il quale abita nella soffitta del palazzo di Jep, sopra di lui.30 Da una parte questa coincidenza stabilisce uno stereotipo, ma dall’altra questa scena andrebbe forse interpretata in modo metaforico, vale a dire che la corruzione si nasconde ben visibilmente in alto, e ciò è oggetto di uno dei film precedenti di Sorrentino, il divo (2008).
Lo spettacolo cittadino e architettonico
In La grande bellezza s’intrecciano l’arte storica e quella contemporanea, che entrano in contrasto a favore dell’arte storica, mentre in quella contemporanea prevale un’idea negativa, in quanto prodotto di una società decadente e quindi sintomo di declino. Il primo esempio rappresenta una performance dell’artista Talia Concept (Anita Kravos), che si svolge all’esterno nella zona verde del Parco degli Acquedotti, sfruttando il luogo scenografico assolato, in cui a quest’ora del mattino il verde del prato brilla ancora di più. Ma Jep guarda l’evento effimero ed unico con indifferenza. La performance di una donna nuda, che corre contro le mura dell’acquedotto, sbattendovi contro la testa, non convince l’ammiratore dell’arte ‘classica’, dell’arte bella. L’arte contemporanea non è né distrazione né tanto meno conforto, l’uomo fa parte dell’opera e coinvolge perciò il pubblico, sconvolgendolo.31 A parte il fatto che si tratta di una performance ‘volgare’ che un conoscitore del buon gusto, come Jep, non può che sopportare con contegno.
A questa prima sequenza riguardante l’arte contemporanea assomiglia una seconda che mette in scena una ragazza, che dipinge un quadro nella tradizione dell’espressionismo astratto. La giovane artista, Carmelina (Francesca Amodio), dipinge un “action painting”, precisamente un “drip painting” alla Jackson Pollock (1912-1956), ma invece di lasciare le macchie di colore come sono, mischia i colori a mano, gridando e piangendo. Jep e gli altri guardano questo spettacolo né innovativo né provocatorio con incomprensione e con indifferenza (primo piano), finché lui e l’amica Ramona (Sabrina Ferilli) si distanziano per godersi, poi, l’arte barocca.
Solo in una terza sequenza, grazie ad una mostra di fotografie, l’arte contemporanea assume, finalmente, un valore positivo. La mostra comprende delle fotografie d’un artista (Ivan Franek), a partire dalla sua nascita, fatte da suo padre e poi da lui stesso, attaccate alle nicchie della loggia di Villa Giulia. Jep è commosso dalle testimonianze fotografiche che, forse, alimentano in lui il desiderio di lasciare un’ulteriore testimonianza, tramite un altro romanzo. Gli autoritratti fotografici dell’artista ricordano contemporaneamente gli autoscatti di Orietta, fatti, però, per un altro motivo, ovvero per divulgarli su “Facebook” per trovare conferma della sua bellezza. Jep non s’interessava delle pose qualsiasi di Orietta, i ritratti fotografici autentici invece lo colpiscono, perché esprimono una naturalezza alla quale lui non è abituato. La mostra unisce l’arte storica e quella contemporanea, integrando le fotografie nell’architettura rinascimentale.
I monumenti storici della città in contrasto all’arte contemporanea risvegliano la curiosità di Jep, tra cui l’edificio rinascimentale del Tempietto di Donato Bramante (1444–1514). Lo spettatore entra come uno spettatore qualsiasi, come Jep (soggettiva), ma per scoprire quello che è nascosto nel sotterraneo, così come per scoprire la stuccatura raffinata, occorrono gli occhi curiosi di una bambina, il cui sguardo imita di nuovo la cinepresa. La bellezza artistica nascosta di Roma, accennata in questa sequenza, si mostra, poi, nella sua grandezza in un giro notturno dei “più bei palazzi di Roma”, in cui confluiscono i vari trucchi tecnici e visivi per mettere in scena le opere d’arte.32 Stefano che possiede le chiavi dei palazzi, offre così a Jep e Ramona un evento alternativo, al posto di quello della giovane pittrice. Il tour comincia con un campo visivo nero, tranne che per un buco di serratura che permette a Ramona di rivolgere lo sguardo verso S. Pietro, illuminato di notte, come illustra il piano seguente.33 Stefano apre la porta, contemporaneamente la cinepresa si allontana, indicando la vista su S. Pietro circondato da una siepe, tra Ramona e Jep. La cinepresa e allo stesso tempo lo spettatore seguono i tre personaggi, una musica accattivante accompagna i passi lenti per osservare tutto. Successivamente, scendono le scale, mentre camminano lungo un corridoio, adornato di sculture, e la cinepresa inquadra le stanze ai lati o le sculture collocate. Seguono primi piani di volti di sculture mezze illuminate, alle quali si aggiungono poi quadri, tra cui la “Fornarina” di Raffaello Sanzio (1483–1520), che ad un tratto appare in dissolvenza dal nero. In seguito un campo medio mostra le principesse, proprietarie di palazzi magnifici, che vengono trasformate in un quadro caravaggesco da una lampada che le illumina in mezzo al buio, mentre giocano a carte. Le principesse si possono considerare come il “simbolo di un’alta borghesia elitaria che custodisce avidamente i luoghi più belli della città”, e attraverso lo stratagemma di raffigurare le principesse come un quadro caravaggesco viene sottolineata la loro natura anacronistica.34 Poi la cinepresa inquadra Ramona (figura intera) di spalle nella galleria prospettica, costruita da Francesco Borromini (1599–1667), e dopo pochi passi ci si accorge della falsa prospettiva.35 Ella si gira e dice: “Avete visto, sembrava enorme invece è piccola, piccola.”36 Meravigliandosi dell’illusione architettonica, come una bambina, dà l’impressione di rivolgersi al pubblico, e infatti vengono presentati questi posti per la prima volta sia a lei che allo spettatore. Il buco della serratura non solo offre uno sguardo insolito ed impressionante sulla basilica tanto nota, ma apre anche un’altra Roma a Ramona, la quale finora le era stata inaccessibile. Alla fine del giro notturno, nel giardino di Villa Medici, Ramona assume persino l’atteggiamento di una turista, scattando una foto a Jep e Stefano, tra le sculture dei “Niobidi”.37
La maggior parte dei palazzi visitati in questo giro notturno, oltre alla fontana d’Acqua Paola, a Piazza Navona, a palazzo Pamphilj e alla basilica di S. Lorenzo in Lucina, dove ha luogo la messa funebre per il figlio di Viola, sono stati costruiti in epoca barocca oppure sono stati trasformati in questo periodo. Da una parte questa ricorrenza stabilisce, ovviamente, un riferimento alla Roma barocca, e dall’altra costituisce un riferimento allo stile artistico dell’abbondanza e della stravaganza che collima con lo stile di vita della società mondana contemporanea presentata. Questo riferimento stilistico al barocco si riflette nuovamente nel gioco degli sguardi della cinepresa, prima di tutto nella sequenza del giro notturno per i vari palazzi. Ai paralleli con l’arte barocca si aggiungono, inoltre, l’uso della luce che rammenta quadri caravaggeschi, cioè il chiaroscuro, e l’illusione.
Il Colosseo, il monumento per eccellenza di Roma, riappare in varie sequenze, dato che la terrazza dell’appartamento di Jep dà sull’anfiteatro, trovandosi proprio davanti al palazzo.38 Per individuare la funzione del Colosseo per la trama occorre analizzare più dettagliatamente le varie scene in cui appare, vale a dire i rapporti tra il monumento e l’ambiente, così come tra il monumento e i personaggi. Già dalla prima sequenza Jep non rivolge lo sguardo all’enorme anfiteatro, che, invece, lo spettatore scorge nella sua intera grandezza, quando egli si dirige verso un altro lato della terrazza. La sua attenzione è attirata dal cortile di un orfanotrofio, dotato di un giardino dove dei bambini e delle monache corrono, e vengono mostrate per delle soggettive di Jep.39 In sottofondo suona la canzone armoniosa, quasi malinconica, “My heart’s in the highlands”. Le siepi e le aiuole del giardino sono disposte in forme geometriche e simmetriche, formano quasi un piccolo labirinto per i bambini, e lo spettatore si trova in mezzo, stravolto dai cambiamenti delle direzioni della cinepresa, che riprende i vari percorsi dei bambini, seguendoli una volta da davanti e una volta da dietro. Mediante i movimenti di macchina il gioco dei bambini viene tradotto in un gioco ottico per lo spettatore. Un primo piano di Jep, lentamente dal basso, lo mostra triste e nostalgico, mentre osserva il giardino. Dietro di lui, sullo sfondo, è vagamente visibile la parte superiore del cerchio del Colosseo, collegandolo all’antico anfiteatro, e viene messo in contrapposizione con il giardino fiorito e con i bambini. L’hortus conclusus, come un microcosmo custodito, pieno d’allegria, forma, ugualmente, un contrasto con le vestigia dell’anfiteatro antico, che ricorda violente battaglie. Di conseguenza sembra più intelligibile che Jep non guardi il Colosseo perché richiama alla mente la vanità, che il tempo consumi tutto, sia gli edifici sia gli uomini.
Un’ulteriore sequenza che raffigura la parte superiore del Colosseo con Ramona, lo associa nuovamente alla vanità e alla morte. Un primo piano riprende un piede di Ramona immobile all’ombra, davanti alla vista del Colosseo, e lascia intuire che sia morta. Il presentimento viene confermato dalla sequenza seguente, mostrando Jep, mentre compra le sigarette in un bar. Egli si muove lentamente, dando l’impressione che tutto intorno di lui, le persone, la TV, non lo riguardino. Quest’effetto è, al contempo, provocato dalla musica ritmica malinconica di sottofondo, oltre la quale non si sentono altri suoni. Una mezza figura di una coppia ricorda Jep e Ramona, e una donna stringe la mano di Jep che la osserva tristemente; poi gli chiede: “E ora chi si prende cura di te?”40 Jep si rivolge a lei (primo piano), ma non risponde, non esiste un’altra persona. La sequenza successiva, collegata tramite un ponte musicale, presenta Viola, seduta, sola a tavola nel suo grande e pomposo palazzo, senza suo figlio Andrea, che si è suicidato. Poi, il piano seguente presenta un uomo che fa le condoglianze a Egidio (Massimo De Francovich), il padre di Ramona, pure lui seduto solo davanti ad un tavolo. Tutti sono rimasti senza compagnia, anche Jep, che vediamo successivamente di spalle in una mezza figura, isolato, mentre osserva la Costa Concordia mezz’affondata. È depresso, come viene, poi, mostrato da un piano di fronte.
Dadina, l’amica e direttrice del giornale per cui lavora Jep, gli aveva chiesto, in una delle sequenze precedenti, di andare al Giglio per fare un reportage sulla Costa Concordia, cosa che lui non aveva fatto per pigrizia. Ma pare che dopo la morte di Ramona, Jep abbia bisogno di lasciare Roma, la morte lo segue perennemente, può anche recarsi alla Costa Concordia che la ricorda inevitabilmente. La nave mezz’affondata davanti a Jep nell’acqua potrebbe alludere a varie interpretazioni. Quella più vicina, pensando al turista giapponese, morto d’improvviso nella sequenza iniziale, sarebbe che un altro viaggio turistico è finito male, il che sottintende che la tecnica, la nave, ha occupato il posto del sublime della natura. Quest’allusione è assecondata dalla posizione di Jep che, inquadrato di spalle in mezza figura, guarda la nave da una roccia, richiamando quasi i quadri romantici di Caspar David Friedrich (1774–1840; fig. 5). Oppure la nave in naufragio simboleggia la città di Roma, vittima dello sfacelo decadente.
5. Jep davanti alla Costa Concordia (01:28:53)
Verso la fine della pellicola il Colosseo riappare un’altra volta, quasi interamente in dissolvenza. Il piano che precede quello del Colosseo mostra Suor Maria, mentre sta dormendo; pare morta, ed illuminata dall’alto, richiama di nuovo il chiaroscuro caravaggesco. L’effetto di un quadro è, inoltre, evocato da due spigoli della finestra i quali incorniciano Suor Maria e Jep, seduto a fianco. Accompagnato da una musica sacra, appare in dissolvenza il Colosseo, sovrapponendosi ai due personaggi. L’immagine del monumento in dissolvenza per via dell’aspetto scheletrico e spettrale richiama nuovamente alla mente la vanità e la morte. In un certo senso, dall’apparenza spettrale del monumento viene indicato che il fantasma di cui è inseguita Roma è il Colosseo (fig. 6).41 La città è determinata dal suo passato di cui non si può liberare, così come Jep non può liberarsi dei ricordi del suo primo amore Elisa (Annaluisa Capasa), che riaffiorano nella sua mente. Ma per dare una nuova funzione al monumento che altrimenti sarebbe veramente fuori luogo, l’anfiteatro, una volta palcoscenico dei giochi dei gladiatori, è diventato il luogo di un altro spettacolo, quello del turismo odierno. E sebbene una parte del cerchio superiore del Colosseo sia spesso sullo sfondo, visto dalla terrazza, i personaggi non lo guardano, come se fosse invisibile, come se non esistesse. Non possono più vedere il monumento tanto noto. Oltre a ciò, il Colosseo viene inquadrato prima della sequenza che si svolge dal chirurgo estetico, alle spalle di Jep, stabilendo un paragone tra il monumento simbolo, il cui aspetto e ‘vita’ vengono prolungate artificialmente con chi fa uso di botulino per mantenere un aspetto giovane. Dal restauro la “singolarità” viene trasformata in immagine, facendone uno spettacolo, che rimanda costantemente ad un’epoca perduta.42
6. L’aspetto spettrale del Colosseo in dissolvenza (01:57:47)
Al turismo come spettacolo rinviano ulteriormente i turisti giapponesi della sequenza iniziale, lo spettacolo di magia e la sessione fotografica dei chierici. Questi eventi promettono esperienze memorabili, se non addirittura indimenticabili, il che Sorrentino spinge all’estremo, lasciando morire un turista. Ma le esperienze, infine, si smascherano come illusione, appartenendo alla “spettacolarizzazione del mondo”, in cui la realtà e la rappresentazione, o meglio lo spettacolo, stabiliscono un rapporto di reciprocità, in cui le immagini si sovrappongono al mondo reale, come esposto da Augé.43 La “spettacolarizzazione” si rende evidente in quanto i monumenti, tra cui la Fontana d’Acqua Paolo e Villa Giulia, sono puliti e bianchi e i parchi archeologici, cioè le Terme di Caracalla vengono usati addirittura di notte per lo spettacolo di magia. Per giunta il paesaggio urbano si adatta, servendo da retroscena per le esibizioni artistiche, come quella di Talia Concept, e spiccano fuori le insegne, come quella della “Banca popolare di Vincenza” oppure quella enorme di “Martini”. Non soltanto gli eventi della società che si presentano, ovviamente, come spettacoli fanno parte della “spettacolarizzazione” di Roma, ma anche l’ambiente, così come l’uomo stesso, Jep, che si mette continuamente in scena come un divo.44 Diversi commenti e rimandi, presentati da Jep o da altri personaggi, nell’opera filmica smascherano quest’illusione spettacolare, su cui è basata tutta la vicenda, la quale a prima vista inganna anche lo spettatore.
Il personaggio di Jep, mediante il quale sono collegati tutti i posti mostrati, trasforma tutto in un ambiente romano in sintonia con il suo atteggiamento. Durante le passeggiate notturne per la città, Jep osserva e contempla tutto senza informazioni ed evita i turisti, che a quell’ora dormono. Al contempo le vie deserte sottolineano la sua solitudine. Le varie sequenze, come in parte illustrato, fanno vedere palazzi magnifici, sculture, quadri e monumenti antichi nella Roma pulita e deserta d’estate, quando tutto è assolato e brilla ancora di più: sia il travertino dell’Acqua Paola, sia il prato o siano atmosfere romantiche soavi del tramonto o dell’alba, oppure di notte quando S. Pietro è illuminato o quando il blu scuro della notte incanta il giardino di Villa Medici. Le passeggiate nei “più bei palazzi di Roma” sono immaginarie, non solo perché finzionali, ma anche rispetto alla presentazione delle opere d’arte, che in realtà si trovano in vari palazzi e musei.45 Sorrentino organizza lo spazio in modo diverso e crea un percorso, ovvero un “viaggio immaginario”, come propone il paratesto. L’unica ‘guida’ è Jep, che vaga a passo lento e con la mente. Il trucco letterario di Jep è al contempo l’illusione di un viaggio filmico a Roma, di una visione di un esteta e allo stesso tempo di un misantropo.46 Ma soprattutto la figura dell’esteta rappresenta il personaggio per eccellenza per lo spettacolo di Roma, siccome sa apprezzare la bellezza artistica e naturale, la quale lo affligge con sensazioni.
Sono le varie immagini filmiche a dare un’idea di Roma: la bellezza intera e memorabile della città che ‘colpisce’ il turista; l’abbondanza barocca che incanta anche la spogliarellista Ramona, e le cui forme sinuose sono un piacere per gli occhi il che Sorrentino traspone in un gioco ottico, raddoppiando quell’effetto; e il Colosseo, che pare uno scheletro di notte, un fantasma che insegue Roma, come il passato la città. Considerando la metafora nota della città come testo e la rivelazione che il film rappresenta un romanzo, quello che Sorrentino offre è un testo pieno di metafore e d’iperboli, che stanno nelle immagini filmiche, che lo spettatore deve decifrare anziché leggere, per capire l’opera cinematografica a fondo.47
Tutte le citazioni sono tratte dal film, cioè dal DVD, siccome non tutte sono identiche ai passaggi della sceneggiatura. Cfr. Paolo Sorrentino, la grande bellezza (Italia e Francia: Indigo Films, Babe Films e Pathé Production, 2013), 00:00:27. Anche nell’opera di Céline il passaggio serve da paratesto. Cfr. Louis-Ferdinand Céline, Voyage au bout de la nuit (Parigi: Gallimard, 1998).↩
Cfr. Lorenzo Codelli, “Entretien avec Paolo Sorrentino. ‘Je cherche un père’”, trad. da Paul Louis Thirard, Positif: revue mensuelle de cinéma, Jun. (2013): 27–30, qui 27. Paolo Sorrentino descrive la sequenza iniziale come prologo in quest’intervista.↩
Cfr. Kai Uwe Schierz, “‘Rom sehen und sterben’: Perspektiven auf die Ewige Stadt”, in Rom sehen und sterben…: Perspektiven auf die Ewige Stadt: um 1500–2011, a cura di Susanne Knorr e Carina Brumme (Bielefeld: Kerber, 2011), 9–15, qui 9.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 01:45:47–56.↩
In effetti Umberto Contarello dice in un’intervista su Paolo Sorrentino, che gli interessano personaggi “marginali, patetici e tragicomici”, che comportano con sé a volte “una deriva un po’ compiaciuta sul kitsch.” Domenico, Monetti e Luca Pallanch, “Conversazione con Umberto Contarello”, in Il cinema di Paolo Sorrentino, a cura di Paolo De Sanctis et al. (Roma: Laboratorio Gutenberg, 2010), 207–13, qui 210. Kitsch e camp sono due concetti correlati, però camp a differenza del kitsch è sempre legato all’affetto, ovvero esiste una simpatia fra l’uomo e il suo comportamento e il suo gusto.↩
Cfr. Susan Sontag, “Notes on ‘Camp’” in Against Interpretation and Other Essays, a c. di Susan Sontag (New York: Farrar, Straus & Giroux, 1966), 275–92.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 01:18:50–1.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 01:21:23–5.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 01:13:42–3.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 00:32:12–5.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 01:36:08–9.↩
Romano è interpretato dal regista e attore Carlo Verdone, il quale ha girato molti film del genere commedia, ambientati a Roma, fatto a cui ci potrebbe rimandare il nome stesso del personaggio.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 00:24:06.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 00:41:46–7.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 00:45:16–46:20.↩
Cfr. Guy Debord, La società dello spettacolo, trad. da Valerio Fantinel e Miro Silvera (Bari: De Donato, 1968), 8–9.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 00:32:47–33:38.↩
Debord, La società dello spettacolo, 12.↩
Cfr. Debord, La società dello spettacolo, 8–10, 21. L’espressione “vita devastata” è utilizzata da Jep. Sorrentino, la grande bellezza, 00:49:07.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 00:47:08–49:25.↩
Cfr. Gilles Deleuze, L’image-temps: cinéma 2 (Parigi: Les Éditions De Minuit, 1985), 7–11. Con l’espressione “scene ottiche” mi riferisco a quella della “situation optique pure”, che include il sonoro, introdotta da Deleuze.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 01:38:45–38:53.↩
Cfr. Debord, La società dello spettacolo, 15, 130.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 01:36:56–8.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 01:13:40–1.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 00:27:34–9.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 01:09:08–9.↩
Ulteriori osservazioni sulla metafora visiva del Colosseo seguono nel paragrafo “Lo spettacolo cittadino e architettonico”.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 02:05:40–5. Secondo Sorrentino “la grande bellezza è esattamente questa gigantesca fatica di vivere che a Roma sembra così occulta, sdrucciolevole e insidiosa, proprio perché, alle volte, la vita qui appare per nulla faticosa.” Paolo Sorrentino, La grande bellezza: diario del film (Milano: Feltrinelli, 2013), 12.↩
Molti critici, come per esempio Marella che descrive la pellicola come un “gigantesco luogo comune”, affermano appunto che il film ha ricevuto il premio Oscar, poiché gioca sui luoghi comuni. Zagarrio, invece, cerca di replicare a questi critici, argomentando che il film è “compiaciuto e narciso”, come il protagonista per cui si deve provare empatia. Solo la sequenza iniziale con il giapponese che cade morto, la ritiene piuttosto assurda. Conclude che i movimenti di macchina sono straordinari e che il film è politico “nella sua rappresentazione di uno spaccato dell’Italia da Basso Impero.” Tuttavia la visione apparentemente oleografica del protagonista ha esercitato un influsso sulla realtà, siccome esistono tour guidati per visitare i luoghi del film, il Comune di Roma ha creato un database dotato d’informazioni sui luoghi e Sorrentino ha ricevuto la cittadinanza romana onoraria. Cfr. Paolo Marella, “La Grande Bellezza: il grande luogo comune”, Artribune 08/03/2014, consultato il 05/01/2015, http://www.artribune.com/2014/03/la-grande-bellezza-il-grande-luogo-comune/.fr; cfr. Vito Zagarrio, “L’atlante delle emozioni: modi di produzione, modi di rappresentazione del territorio”, Bianco & Nero: rivista trimestrale del Centro Sperimentale di Cinematografia No.578, gen–apr (2014): 21–37, qui 24–5; cfr. Alberto Crespi, “Roma, il Grand Tour anche in 500”, Bianco & Nero: rivista trimestrale del Centro Sperimentale di Cinematografia No.578, gen–apr (2014): 28–32, qui 28.↩
Performances simili a quella rappresentata erano messe in atto da Charlemagne Palestine, durante gli anni Settanta, sbattendo il suo corpo contro pareti, e gridando per emanare vibrazioni, che utilizzano lo spazio come corpo. Il personaggio femminile, invece, ricorda Marina Abramović. Cfr. Elisabeth Jappe, Performance Ritual Prozeß: Handbuch der Aktionskunst in Europa (Monaco: Prestel, 1993) 29–30, 39.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 01:15:05–7.↩
La serratura appartiene al cancello del Priorato dei cavalieri di Malta e attira tanti turisti ogni anno. La borsa con le chiavi per “i più bei palazzi di Roma” è ispirata al libro “Le chiavi per aprire 99 luoghi segreti di Roma”, in cui Costantino D’Orazio fornisce una raccolta di posti eccezionali, meno conosciuti di Roma e le informazioni necessarie per visitarli. Cfr. Costantino D’Orazio, La Roma segreta del film La grande bellezza (Milano: Sperling & Kupfer, 2014), 1–2, 48–9.↩
Enrico Maria Vernaglione, La galassia di Jep Gambardella: un big bang chiamato Federico Fellini (Taranto: Edita 2014), 33.↩
La galleria prospettica si trova nel palazzo Spada. Cfr. D’Orazio, La Roma segreta, 54.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 01:17:29–32.↩
Cfr. D’Orazio, La Roma segreta, 55–6.↩
Una terrazza come quella di Jep, dove s’incontrano intellettuali e altre celebrità, compare già in la terrazza (1980) di Ettore Scola.↩
Cfr. Paolo Sorrentino e Umberto Contarello, La grande bellezza (Ginevra e Milano: Skira, 2013), 34–5. Il giardino mostrato è in realtà quello del palazzo Sacchetti, dove abita il personaggio di Viola, che si trova in via Giulia vicino al Tevere, a differenza del Colosseo. Cfr. D’Orazio, La Roma segreta, 39–43.↩
Sorrentino, la grande bellezza, 01:28:16–8.↩
Conoscendo le riflessioni di Sorrentino sulla città sembra che l’impressione scheletrica e spettrale del Colosseo sia una scelta intenzionale. In un’intervista dice: “Roma è il posto migliore del mondo in cui vivere”. Alla domanda del perché risponde: “Perché Roma è morta. Una straordinaria città morta. È l’integrità del cadavere il grande miracolo estetico e mistico di Roma. È morta duemila anni fa e profuma ancora. Per sentirsi vivi bisogna ossessivamente relazionarsi alla morte. E se poi la morte ha le sembianze di una rutilante, incredibile bellezza, non ti senti ancora più vivo? È un’illusione senza dubbio, ma che male c’è a traversare l’esistenza dentro la bolla dell’illusione? La magia è l’arte dell’illusione, ma io la augurerei a chiunque, una vita magica”. Cfr. Jep Gambardella, “La grande bellezza agli Oscar: Jep Gambardella intervista Sorrentino”, Vanity Fair 02/03/2014, consultato il 26/12/2014, http://www.vanityfair.it/show/cinema/14/03/02/oscar-2014-la-grande-bellezza-jep-gambardella-intervista-sorrentino; cfr. Roberto Cotroneo, “Perché La Grande Bellezza è un capolavoro”, consultato il 05/01/2015, http://robertocotroneo.me/2014/03/09/grandebellezza.↩
Cfr. Marc Augé, Rovine e macerie: il senso del tempo, trad. da Aldo Serafini (Bollati Boringhieri: Torino, 2012), 76; cfr. Arianna Di Genova, “Il restauro che uccide il Colosseo”, Il manifesto, 21/01/2015, consultato il 28/07/2015, http://ilmanifesto.info/il-restauro-che-uccide-il-colosseo.↩
Il concetto della “spettacolarizzazione del mondo” è stato adottato da Augé, il quale la citazione riportata illustra più dettagliatamente. “Sono in atto dei processi di uniformazione e di spettacolarizzazione che ci allontanano sia dal paesaggio rurale tradizionale, sia dal paesaggio urbano nato nell’Ottocento. Due tendenze si stanno delineando: da un lato, l’uniformità dei ‘non luoghi’ (spazi della circolazione, della comunicazione, del consumo), dall’altro, il carattere artificiale delle ‘immagini’.” Augé, Rovine e macerie, 75. Per “immagini” intende simulacri e copie. Cfr. Augé, Rovine e macerie, 58–9.↩
Cfr. Augè, Rovine e macerie, 54–9.↩
Inoltre, il film offre la possibilità di vedere posti ed opere d’arte, a cui di solito il pubblico non ha accesso, se non solo in parte.↩
Jep si autodefinisce un “misantropo”, rivolgendosi a Stefania in una sequenza sulla terrazza. Sorrentino, la grande bellezza, 00:28:32–3.↩
La metafora del testo per la città viene, tra l’altro, utilizzata, da Kevin Lynch, da Michel De Certeau e da Michel Butor.↩
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