Dante Alighieri: quo vadis? Nuove prospettive nel dialogo delle discipline

Franziska Meier

Dal 27 al 29 maggio 2015 si è tenuto presso il Dante-Forum di Gottinga un convegno sul tema: “Dante Alighieri: quo vadis? Nuove prospettive nel dialogo delle discipline”. Filologi, critici letterari, storici e specialisti di Dante si sono riuniti per dialogare sullo stato attuale degli studi danteschi in diversi paesi, e per presentare ai colleghi i progetti in corso. Un dialogo vivace e fruttuoso è sorto tra gli ospiti a beneficio di un gruppo di studenti e dottorandi. Nuove passerelle hanno riunito discipline spesso distanti, e nuovi contatti sono sorti tra le diverse scuole e tradizioni – non sempre compatibili – di studi danteschi.

Una tavola rotonda sulla ricerca dantesca in Germania, Spagna, Francia, Italia e Stati Uniti ha inaugurato il convegno. Franziska Meier (Göttingen) a delineato per la Germania un quadro desolato, ormai distante dalla tradizione di eccellenza internazionale degli studi romanistici su Dante in cui eccellevano figure come Erich Auerbach, Ernst Robert Curtius e Hugo Friedrich. La romanistica tedesca fatica a situarsi nel contesto internazionale della ricerca dantesca, all’eccezione di alcune iniziative di spicco, come quelle promosse dalla Deutsche Dante-Gesellschaft (società tedesca di studi danteschi), e dal Dante-Forum di Gottinga, che intende ravvivare la ricerca su Dante in Germania. Per fare questo, il Dante forum intende creare una piattaforma di ricerca che faccia dialogare e metta in evidenza quesiti circa le opere meno studiate di Dante, o aspetti considerati come marginali, o ancora elementi metodologici. Rossend Arquès (Barcellona) ha poi descritto l’imponente progetto svolto tra Madrid e Barcellona, che prevede diverse pubblicazioni, l’organizzazione di convegni internazionali, la ricerca sulle canzoni di Dante, e infine il vasto progetto circa “Dante e le Arti”, che riunirà sia studi sul tempo di Dante sia contributi sulla ricezione di Dante in diverse arti e presso diversi artisti moderni e contemporanei.

Enrica Zanin (Strasburgo) ha esposto le difficoltà attuali della ricerca filologica su Dante in Francia. Se nuove traduzioni cercano di rendere accessibile per un pubblico più vasto le opere di Dante, pochi sono gli studi filologici su Dante in Francia, probabilmente a causa del carattere religioso e dell’oggettiva difficoltà dell’opera. Le ricerche filosofiche e storiche sul contesto ideologico di Dante sono invece vivaci, e nuovi approcci narratologici o contestuali potrebbero rinnovare la dantistica francese. Giuseppe Ledda (Bologna) ha proposto un itinerario geografico repertoriando nuove edizioni e studi su Dante in Italia. Ted Cachey (Notre Dame) ha dedicato la sua relazione alla memoria di Robert Durling, le cui traduzioni ed interpretazioni di Dante diedero nuova vitalità agli studi danteschi negli Stati Uniti. L’esempio di Durling ha mostrato l’importanza delle piccole università (Burling insegnava a Santa Cruz) nel rinnovo degli studi danteschi. Ted Cachey ha sottolineato l’importanza di Dante nel cursus di formazione universitario, l’interesse che le giovani generazioni provano per la Commedia, fattori che hanno reso Dante un “American Classic”. Ted Cachey analizza lo sforzo importante di contestualizzazione operato dalla critica americana, ricordando l’adagio di Teodolinda Barolini, “only historicize”, gli studi di ricezione, la teologia politica, ed evidenzia come questi diversi orizzonti di ricerca siano sempre concepiti al servizio dell’interpretazione. Ed è proprio l’ermeneutica, secondo Ted Cachey, che costituisce il filo rosso degli studi danteschi negli Stati Uniti.

Ad aprire il primo giorni del convegno è stata la presentazione del progetto di ricerca, animato dalle università di Leeds, Warwick e Cambridge su “Dante and Late Medieval Florence: Theology in Poetry, Practice and society” che analizza il contesto fiorentino in cui Dante ha potuto formarsi. Simon Gilson (Warwick) ha sottolineato quanto sia difficile ricostruire il contesto (“environment”) dantesco. L’analisi delle fonti delle scuole mendicanti in Firenze ridisegna un’immagine frammentaria ed incompleta. Difficile da valutare è l’importanza reale delle biblioteche, comme quella di Santa Croce, nella formazione dei laici. In Santa Croce, per esempio, non era conservato alcun testo di Aristotele, e non è ancora chiaro quale fosse l’accesso di laici, come Dante, ai volumi. I partecipanti al convegno si sono quindi interrogati sull’importanza della tradizione quodlibetica, che può essere stata per Dante un luogo possibile di apprendimento. Nel corso del dibattito, Giuseppina Brunetti ha chiesto se è corretto considerare Santa Croce come una scuola, ed ha sottolineato come sia rischioso speculare su di una possibile “biblioteca virtuale”. Tutti i manoscritti non sono stati ancora analizzati, e spesso la loro funzione ed il loro significato appaiono oscuri. David Wallace ha aggiunto come, rispetto al tempo di Thomas More, i monasteri del duecento e del trecento non erano ermeticamente sigillati, e che gli scambi tra la cultura secolare e religiosa dovevano essere più frequenti. Bisognerebbe ricercare quanto vivo fosse l’interesse dei monaci mendicanti per gli autori antichi. Valérie Cordonnier ha sottolineato l’importanza delle questioni quodlibetali e la necessità di studiare i numerosi codici che le riportano. Si è poi discusso del ruolo e della centralità di Dante in quest’opera di contestualizzazione. Vittorio Montemaggi ha affermato che nella ricostruzione contestuale è necessario considerare altre figure importanti del Medioevo, come Gregorio magno, e che l’opera di Dante permette di valutarne la ricezione e l’importanza effettiva. Giuliano Milani ha delineato chiaramente due vie possibili di contestualizzazione: da un lato, che cosa ha influenzato Dante e come l’autore ha reagito, dall’altro, quale era il conflitto teologico ai tempi di Dante, che posizioni erano in presenza, ed in che misura l’opera di Dante riflette questo stato di cose.

Nel suo contributo, Vittorio Montemaggi (Notre Dame) considera l’avvio della Commedia come un’ingiunzione al lettore, perché egli accetti di intraprendere e di lasciarsi condurre nel viaggio del pellegrino. Nella stessa via interpretativa di Peter Hawkins, Christian Moevs e Kirkpatrick, Vittorio Montemaggi mostra come la Commedia esorti il lettore a lasciarsi guidare verso un più grande e più attivo coinvolgimento. Stimolato dall’idea che nessun uomo può sapere chi sia redento e perché, il pellegrino Dante impara – e Dante poeta lo mostra non senza riferimenti a Gregorio Magno – cosa sia l’umiltà, e situa se stesso in un processo infinito di approssimazione al divino. Una condizione necessaria per questa via verso il divino è l’apertura costitutiva della fine. Vittorio Montemaggi analizza come esempio probante il dialogo tra Dante e Pietro Damiani: per l’uomo è impossibile capire l’azione di Dio, perché l’uomo è creato da Dio e quindi coinvolto nell’azione stessa che egli vorrebbe intendere. Montemaggi cita infine Roberto Benigni, secondo il quale le terzine di Dante operano un rovesciamento: Dante non ha scritto la Commedia “perché Dio c’è”, ma “perché ci sia”. E tempo che la comunità accademica consideri seriamente la forza esperienziale dell’opera di Dante.

Giuseppe Ledda sottolinea l’importanza dell’agiografia nella Commedia. Egli ha già analizzato il ruolo centrale di Santa Lucia nel pellegrinaggio di Dante, ed intende ora capire perché Dante allude a più riprese a martiri nei canti dell’Inferno ricchi di riferimenti ad elementi biografici del poeta (cioè nella bolgia dei barattieri e degli scismatici). Appare così che buona parte delle punizioni infernali alludono a forme di martirio riportate nella Leggenda aurea. L’analisi delle referenze al martirio rivela così, alle basi della Commedia, una rete di santi che ne orientano il significato. L’intertesto agiografico appare esplicitamente nelle vite di Francesco di Assisi e di san Domenico nel Paradiso, così come nelle figure di Cacciaguida e di “san Boezio”, le cui morti legano martirio ed esilio politico, ed infine in Pietro Damiani e in san Benedetto, pure presentati come martiri. La rete dei riferimenti agiografici ha un ruolo retorico, che adempie nell’Inferno una chiara funzione parodica, e che costruisce e conferma, nel Paradiso, l’autorità di Dante.

Ted Cachey riporta i progressi del suo vasto progetto atto a ricostruire la cosmologia di Dante. Egli sottolinea la novità della Commedia, che presenta l’empireo come un luogo trascendente ed immateriale. Le sue analisi prendono spunto dall’autocorrezione di Dante circa l’ordinamento dei cieli dal Convivio al Paradiso. Ted Cachey rileva in alcuni passi di carattere cosmologico la tensione tra il desiderio universalistico di situare e definire l’ordine del cosmo, ed il bisogno egocentrico di situarsi e di attribuirsi una posizione centrale. Tale tensione mostra come l’Io di Dante non deve solo essere considerato come allegorico, ma deve essere inteso come un Io storico, che cerca di definire la propria situazione nel tempo e nello spazio. Ted Cachey precisa in seguito che nessuno, al tempo di Dante, aveva tentato una tale sintesi cosmologica. Egli spiega tale eccezione in funzione di un bisogno personale di conciliare l’esperienza concreta della frantumazione e dell’allargamento progressivo del mondo conosciuto con l’ordine aristotelico. Giuliano Milani rileva come tale bisogno sia sensibile nelle carte dell’epoca, al cui centro non si trova un individuo, ma una città, sia essa Siena o Firenze. Serena Ferente sottolinea come presso numerosi esiliati della prima modernità la perdita della patria natale coincidesse con un allargamento dei confini, ed il bisogno di fare del mondo la propria città. Dante mostra a tratti una nuova rappresentazione dello spazio, che prende spesso le distanze dell’insegnamento aristotelico.

Giuseppina Brunetti (Bologna) espone i successi, le difficoltà ed i quesiti ancora irrisolti nelle sue ricerche circa la ricostruzione della biblioteca di Santa Croce. Anna Pegoretti (Warwick) parafrasando il titolo Bonjour tristesse, espone i limiti sia delle letture allegoriche eccessivamente esplicite sia delle ricerche positivistiche. Prendendo come esempio il lessema “povertà”, mostra come Dante si muova attraverso contesti ideologici diversi e spesso conflittuali. Il ruolo delle confraternite, in particolare, non consisteva in migliorare o rimediare agli stenti dei membri, ma bensì nel farsi carico liberamente e collettivamente della povertà. L’opera di Dante riflette quindi una tensione tra la povertà considerata come un valore spirituale, e come esperienza concreta di stento ed afflizione. Sebastian Neumeister (Berlino) considera Dante come il punto di partenza per l’analisi dei rapporti tra poesia e sapere nella lirica provenzale e volgare. David Wallace (Philadelphia) infine provoca gli italianisti sottolineando come la celebrazione delle tre corone sia stata l’opera di Bembo, nel contesto normativo della Controriforma, continuata poi nel Risorgimento per ragioni nazionalistiche. Una delle ambizioni del vasto progetto editoriale da lui diretto circa la storia letteraria tra 1348 e 1418 (Europe: a Literary History) consiste nel restituire la corona a due autori italiani, anzi, a due scrittrici la cui corrispondenza ha notevolmente contribuito alla letterature trecentesca: Caterina da Siena e Brigida di Svezia, la quale nel suo soggiorno romano ha scritto in volgare ed in latino. Portare le corone da tre a cinque restituirebbe la voce a due donne estremamente influenti. Simon Gilson ha sottolineato come la promozione bembiana delle tre corone serviva a valorizzare il volgare, minacciato dell’interesse rinascimentale per il latino, e come l’opera di Boccaccio fosse già discussa da Bembo come poco degna del lauro.

Giuliano Milani (Roma) inaugura le riflessioni della terza giornata di studi interrogando le relazioni tra storici e dantisti. Una prima differenza concerne l’oggetto di studio: dantisti e storici fondano le proprie ricerche su testi diversi. La relazione tra le due discipline sarebbe più efficace, se gli storici avviassero un dialogo fruttuoso con i dantisti, e se i dantisti non considerassero il lavoro degli storici come una semplice riserva di informazioni. Giuliano Milani presenta in seguito uno sguardo retrospettivo sui Codici diplomatici danteschi. Nel primo censimento, Biagi e Passerini riunirono, tra il 1895 e il 1911, 42 documenti sulla vita di Dante; poi l’edizione di Piattoli, negli anni 1940–1969, ha raccolto 252 documenti circa la famiglia Alighieri, ed infine la nuova edizione di 2015, alla quale Milani ha collaborato, riprende, corregge ed amplia il lavoro di Piattoli, e censisce 328 documenti di cui 43 inediti. Il nuovo censimento porta alla luce nuove evidenze e permette di ripensare alcune questioni dantesche: appare ad esempio che Cacciaguida era prossimo alla famiglia degli Uberti e che quindi la distanza che separa Dante dai Ghibellini prima dell’esilio è da rivalutare. La contestualizzazione dei documenti mostra pure come il matrimonio tra Dante e Gemma non ha potuto essere stipulato nel 1277, quando Dante aveva solo 13 anni, e come i debiti di Dante siano stati più uno strumento per mettere al sicuro una piccola fortuna che per prendere in prestito denaro. L’accordo di pace tra i Sacchi e gli Alighieri nel 1342 non è un evento di rilievo, ma una prassi comune, poiché Gualtieri di Brienne impone in quell’anno la pacificazione di tutte le faide. I codici della famiglia Alighieri presentano pure un interesse specifico per lo storico poiché offrono uno spaccato documentato su di una famiglia di classe media nel due-trecento. Ciò che sorprende a prima vista è il carattere liquido delle categorie politiche, che sono spesso considerate troppo rigidamente dalla critica dantesca. Il criterio della nobiltà, per esempio, non era né dirimente né centrale nella politica fiorentina due-trecentesca; le scelte politiche erano opzioni pragmatiche di clientelismo: gli Alighieri si elevano socialmente quando, al tempo della nascita di Dante, da alleati degli Uberti diventano clienti dei Donati, e risulta quindi possibile per Dante rinunciare ad una professione per occuparsi di poesia. Per una famiglia di ceto medio, la scelta del partito guelfo o ghibellino non era né assoluta, né coercitiva. Il papato non è il referente centrale del partito guelfo, come lo sono invece gli angioini.

Insieme ad Antonio Montefusco (Venezia) Milani presenta il progetto a cui lavorano presso l’EHESS di Parigi nel gruppo diretto da Sylvain Piron che prosegue le ricerche iniziate da Le Goff sulla scolastica ed il medioevo intellettuale nel contesto specifico della Toscana, dove la vita intellettuale risulta più frammentata a causa del ruolo meno preponderante delle università. Quaranta figure di “intellettuali” sono quindi state selezionate per comporre un ritratto di gruppo che disegni l’evoluzione culturale dal 1260 al 1320. La formazione, l’impegno intellettuale e politico, i legami, le influenze e gli incontri con altri esponenti culturali locali verranno scandagliati per comporre una biografia collettiva che prenda spunto da Dante, senza che il poeta appaia al suo centro.

Antonio Montefusco sottolinea invece la centralità delle epistole nel corpus dantesco. Egli espone i principi dell’edizione critica che sta preparando. Egli ha potuto rintracciare tre centri nei quali le lettere scritte da Dante circolarono: in primo luogo la cancelleria di Firenze, più importante ancora quella di Forlì durante l’esilio, poiché Dante servì da dictator dei Bianchi, ed infine le corti del Nord Italia, in cui Dante ha soggiornato. Le epistole, che furono raccolte solo nel Settecento, sono state conservate come copie in un registro o come fogli sparsi. Lo studio e la datazione delle epistole suggerisce diverse piste di ricerca, tra le quali l’idea che Dante si trovò relativamente presto isolato ed autonomo all’interno del gruppo stesso dei Bianchi. Le epistole mostrano pure come Dante strutturi e ricerchi diverse strategie di autopromozione nell’ambiente dello studio bolognese. Alcune epistole mostrano la relazione problematica tra volgare e latino, che bisognerebbe situare nel contesto coevo della scrittura epistolare rispecchiata nel curioso bilinguismo di alcuni manuali epistolari. La cultura plurilingue dell’Italia trecentesca è centrale nel progetto di ricerca personale di Antonio Montefusco, finanziato dall’European Research Council.

La sessione successiva diretta da Matthias Roick tratta della storia dell’etica, e considera le intersezioni tra etica, politica, giurisprudenza e teologia. Serena Ferente (Londra) descrive il ruolo specifico che assume Dante nel contesto delle ricerche in storia delle idee. Le riflessioni di Dante sull’idea di libertà nascono in un contesto polemico, in cui Firenze sviluppa e promuove un nuovo concetto di Libertas. Le reazioni di Dante in questo contesto di progressiva concettualizzazione sono difficili da sintetizzare e da sistematizzare. Risulta pure complesso da determinare chi abbia sviluppato e diffuso nella cancelleria di Firenze l’idea di una libertà che poteva solo sussistere nel contesto dei comuni. La libertas ha consolidato non solo l’alleanza con il papa, ma soprattutto l’alleanza delle città contro le richieste dell’imperatore. Dante invece, nella Monarchia, propone una nuova definizione di libertà. La sua argomentazione si è costruita contro la comprensione dei giuristi alla corte napoletana, supponendo che l’impero romano, poiché costituito con la forza (violentia), ha potuto essere solo temporaneo, facendo ricadere gli uomini nello stato di libertà naturale. Serena Ferente deduce dalle sue osservazioni che la Monarchia non deve essere considerato solo come un “libello di lite”, come suppone Diego Quaglioni, e che non è stato solo composto per corroborare la causa dell’impero, ma che il trattato esprime alcuni elementi essenziali del pensiero di Dante, che meriterebbero analisi più approfondite, fondate su di una conoscenza più chiara del contesto politico ed ideologico, e delle sue intime contraddizioni.

Lorenzo Valterza (Notre Dame) si interessa alla rappresentazione del diritto romano nel Convivio. Egli mostra come Dante, a partire d’una comprensione generale del diritto divino, fondato sulla rivelazione, del diritto naturale e del diritto romano e positivo, intenda obliterare le frontiere tra diritto divino e romano. Più volte Dante utilizza formule del digesto come fonti, senza fare riferimento alla loro origine storica. Lorenzo Valterza sottolinea alcune particolarità del volgarizzamento di Dante: se Dante cerca di occultare l’origine del diritto romano, è per accordargli una legittimità pari a quella del diritto divino. La rappresentazione di Giustiniano nel Paradiso è un esempio di questa strategia. Lorenzo Valterza sottolinea come il termine “lealtade” non deve essere inteso nel senso di “lealtà”, ma piuttosto come prossimo a “lex”, significando quindi l’esigenza di rispettate una legge. Il termine “usanza”, in Convivio IV,25, è pure significativo perché tratto dal diritto latino. Dante considera che per comprendere la legge è necessario riferirsi non solo alle leggi codificate ma pure all’uso.

Valérie Cordonnier (Paris) e Matthias Roick (Göttingen) presentano il loro lavoro sulla storia della ricezione del liber de bona fortuna. Tale opera contiene un’interpretazione aristotelica del concetto largamente diffuso di fortuna, che viene poi citata nel Convivio. Sarebbe interessante capire in quale forma Dante abbia avuto accesso al contenuto del libro, e quali tracce tale lettura lascia nella Commedia. Due esposizioni del libro e cioè quella sul “bene natu(ratus)” e sull’ispirazione divina si ritrovano in Dante, come a costituire un filo rosso che meriterebbe ulteriori analisi.

Manuele Gragnolati (Oxford) chiude il convegno con una riflessione sulla risurrezione carnale dei morti. Egli espone l’evoluzione ed i problemi circa i rapporti tra anima e corpo. Da un lato, egli espone l’idea francescana di un dualismo tra anima e corpo, che rischia tuttavia di compromettere l’unità della persona, e dell’altra l’idea della perfetta unità in cui l’anima è la forma del corpo ed il corpo ne è la materia. Manuele Gragnolati mostra che entrambe le tesi sono presenti in Dante, come lo rivela l’ambiguità delle ombre descritte nel Purgatorio: esse hanno una forma di corporeità che manifesta la loro anima, ma tale corporeità è vanità e le anime non coincidono con le persone. Dante intraprende un percorso di conoscenza che lo incorpora progressivamente alla trascendenza e lo rende parte del corpo mistico. Manuele Gragnolati applica alla Commedia il concetto di difraction usato da Donna Haraway, e compara il riferimento ai corpi nella Commedia ed in Aracoeli di Elsa Morante. Nelle due opere, le contraddizioni sussistono, ma la lingua volgare, e l’uso letterario permettono una comprensione più profonda del rapporto al corpo, inteso non solo come necessità, ma pure come nostalgia e ricordo.

Trad. Enrica Zanin (Strasburgo)





Copyright (c) 2015 Franziska Meier, Enrica Zanin

Creative-Commons-Lizenz
Dieses Werk steht unter der Lizenz Creative Commons Namensnennung 4.0 International.